Attraverso questa specifica sezione dedicata all’Oasi Salinella, faremo un affascinante passo indietro nel tempo che ci condurrà non soltanto a vedere il luogo nel passato, ma anche a scoprirne l’interpretazione fatta dalla “musa” per eccellenza, da cui l’idea del Parco etnobotanico “Laudato Sì” trae spunto: la poesia.
Quest’ultimo aspetto in particolare potrebbe risultare, ad un primo sguardo, un riferimento inusuale. Eppure, è doveroso constatare che la “Chora Tarantina” (sostantivo di origine greca utilizzato un tempo per evocare i paesaggi limitrofi alla polis con interpretazione poetica) ha fortemente stimolato quel senso sublime dell’arte, insito nell’indole di alcuni grandi uomini della storia.
Secoli addietro, difatti, qualcuno ha dato prova di un talento unico nel mettere in versi temi non poetici quali: la coltivazione dei campi, i pesci, la caccia, il vario fluire delle acque, dell’ambiente animale e ciò al fine di restituire uno scatto quanto più fedele al paesaggio tarantino nella sua interezza.
Vi è dunque un poema suddiviso in quattro libri, interamente redatto in latino intorno alla fine del ‘600, tradotto in italiano e dato alle stampe nel 1771, da cui traspare in modo assolutamente unico la bellezza paesaggistica che connotava la città di Taranto.
Ci riferiamo all’opera in esametri di Niccolò Tommaso D’Aquino dal titolo “Delizie Tarantine” in cui il poeta locale descrive e racconta i movimenti del paesaggio autoctono nel periodo compreso tra l’età dei Lumi e l’Unità d’Italia. In questo tocco descrittivo, originalissimo e meticoloso dell’ambiente che abbraccia una città, non mancano riferimenti vegetali specifici, assolutamente indispensabili nella nostra ricerca tecnica per la ricostruzione del Parco “Laudato Sì”.
Si pensi ad esempio al Fico Nero celebrato dal poeta arcadico: la pianta è collocata all’interno del Parco etnobotanico della masseria di San Pietro sul Mar Piccolo, già parte di un giardino gentilizio a partire dal 1600.
Sulla scia di questa indicazione letteraria specifica non intendiamo rubare altro tempo al lettore. Lasciamo dunque spazio alla forza dei versi di N.T. D’Aquino (di cui ne leggeremo qui di seguito la trasposizione in prosa), nonché alla forza della nostra immaginazione.
TRATTO DAL LIBRO I:
(…) “Noi celebriamo i boschi di Ebalia e la città di Taranto posta tra due mari, cui il dolce clima arricchisce con tante bellezze di natura: ove il fulmine Galeso bagna gli ubertosi campi, e non senza onore scorre placido nel suo piccolo letto. Cantiamo quali diletti e quali dovizie di paradiso fornisce il mare e l’industre terra. (…)
Il tiepido verno non ha venti né procelle, onde i campi rinverdiscono fuori tempo, e le piante sbucciano a poco a poco, e si mescono fra loro il tenero salcio, il grato timo e i cespi odorosi del nardo. Le lattanti pecore corrono ai lieti paschi, e radono l’erbette, quando l’Aurora le imbianca di rugiada, o le vanno carpendo quando il dì piega a sera. (…)
Dite voi, o colli, voi o campi ubertosi di Falanto, di quali doni Bacco non ci sia largo; imperocché è fama che il nostro vino vinca quello di Cecuba e Lesbo, e lo spumante Falerno, e il rosso Caleno e quello della sassosa Chio. I colli son piantati a vite, i campi dalla vita ombreggiati, le valli son piene di viti, né prospera meno nelle valli. (…)
Tali ricchezze nell’ameno suo grembo dispiega la madre terra, dove sorge la città di Taranto (…)
Presso la città, né molto lungi, appajono vaste boscaglie coperte di splendenti fronde, dove l’antica quercia stende le ramose braccia, e il tiglio, e l’acero, del cui legno bicolore Tirsi compone la cetra e canta i suoi amori. Né vi mancano i salici; e gli orni dall’alto fusto si mescolano all’elci ghiandifere, e il frassino e gl’ispidi s’innalzano con densi rami; i colli si elevano d’intorno, e le scoscese vette sono incoronate da dense boscaglie (…).”
TRATTO DAL LIBRO IV:
“(…) Ma né la molle Arabia coi suoi odorosi profumi, né colle sue gemme il Mar Rosso, né l’India gareggiano con i campi d’Ebalia, né Rodi che risplende del suo oro cadutole dal cielo.
VERSO CONCLUSIVO:
“Orsù, Ninfe, cingetemi il capo di rami marini: se cantai le doti peregrine della mia patria, e le fecondità del suo mare, voi coronate il poeta di rossi coralli.”
La bellezza del paesaggio tarantino non sfuggì all’attenzione di un’altra figura storica con la quale compiamo un grande salto indietro nel tempo sino a giungere all’età di Augusto. Ci riferiamo a Virgilio, l’interprete più completo della letteratura romana, la cui produzione letteraria sarà destinata ad influenzare ed ispirare la letteratura occidentale nei secoli, come lo ha dimostrato anche N.T. D’Aquino con le sue “Delizie Tarantine”.
In questa nostra interpretazione storica così singolare sull’Oasi Salinella e, più in generale sulla Chora Tarantina, ci affidiamo dunque a dei contributi letterari dal valore profondo, spesso dimenticati e che intendiamo rievocare con forza per la loro importanza anche ai fini della nostra opera pubblica.
Al poema di D’Aquino accostiamo così le Georgiche di Virgilio, componimento di oltre duemila esametri latini redatto dal 37 a.C al 29 a.C. in cui il poeta, con il IV ed ultimo libro, riserva una particolare attenzione al lavoro agricolo sapientemente compiuto da un ex pirata spedito a Taranto da Còrico (porto dell’antica Cilicia ed importante stazione navale romana – regione corrispondente alla striscia costiera sud-est della Turchia).
A seguito della guerra pompeiana ai pirati, in perfetta linea con la strategia romana, “Il Vecchio di Còrico” (titolo che dà il nome all’episodio tratto dal IV libro dell’opera) accetta la proposta del nemico di firmare la resa e vedere quindi salva la propria vita coltivando un fazzoletto di terra confinato in Italia. Virgilio, quale discepolo del circolo della nuova generazione di poeti augustei, giunge a Taranto proprio in quegli anni, nella primavera del 37 a.C,. insieme al suo protettore, Mecenate (il portavoce di Augusto) il quale, arrivato da Roma nel capoluogo Jonico per ragioni politiche, porta con sé, come di consueto, la sua cerchia di eletti, incaricati di appoggiare il programma di restaurazione agricola.
Secondo la storia dunque, Virgilio, in occasione di questa tappa, si ritroverà ad osservare il paesaggio lungo le rive del fiume Galeso dove, davanti ai suoi occhi, protagonista non sarà soltanto la bellezza del luogo in sé, ma anche la serenità e la semplicità d’animo di quest’uomo. La dedizione e la costanza del “Vecchio di Còrico” nel creare un giardino di frutti e fiori in un terreno sassoso e abbandonato, sembra trasmettere una tenacia e libertà di pensiero tale da elevarlo, sempre secondo il poeta, ben al di là delle divisioni politiche dell’epoca.
Giunti a questa seconda tappa del nostro viaggio storico dell’Oasi attraverso la letteratura, ci spostiamo dietro le quinte lasciando che sia il verso a fare da protagonista:
TRATTO DAL LIBRO IV DELLE GEORGICHE: IL VECCHIO DI CÓRICO
“(….) Ricordo, sotto le torri della rocca di Taranto, dove il Galeso scuro bagna la bionda campagna, vidi un vecchio di Còrico che aveva pochi iugeri di campo abbandonato , terra infeconda al lavoro dei buoi, inadatta alle greggi, sfavorevole alle viti. Eppure, piantando qualche legume fra gli sterpi e intorno gigli candidi, verbena e gracili papaveri, in cuor suo si sentiva ricco come un re, e, rincasando a tarda notte, guarniva la mensa di cibi non comprati. (…)
Così prima di tutti aveva in quantità pupe di api, quindi uno sciame numeroso, e spremendo i favi raccoglieva spuma di miele; aveva tigli, pini rigogliosi e i suoi alberi maturavano in autunno tutti i frutti di cui in fiore s’erano rivestiti in primavera. E in filari aveva trapiantato olmi già vecchi, peri durissimi, pruni che davano susine e un platano che offriva ombra ai bevitori.
Ma io, impedito dall’incalzare del tempo, devo abbandonare questi ricordi e lasciare ad altri dopo di me che li tramandino.”
Attraverso queste testimonianze letterarie, ci viene offerta dunque la possibilità preziosa di andare alla ricerca e riscoprire, verso dopo verso, l’identità storico/ culturale di Taranto e, con essa, risalire ai “patriarchi vegetali dell’arco jonico”: i protagonisti del Parco etnobotanico “Laudato Sì”.
Tuttavia, al di là di questa singolare e suggestiva reinterpretazione della Chora Tarantina, nell’ arduo processo di recupero del genotipo di appartenenza dell’individuo vegetale ancestrale, una seconda fonte storica di riferimento, di tutt’altra natura, ci viene in soccorso: la ricostruzione delle caratteristiche formali del contenuto territoriale svolta dal Regio Tavolario Aniello Boccarelli sotto il Regno di Napoli intorno alla fine del ‘700, conservato nell’Archivio di Stato di Taranto.
Ci riferiamo nello specifico alla Tavola Geodetica realizzata dal suddetto agronomo operante in Taranto nel 1770. Lo studio e il lavoro svolto da questo “padre del catasto” (uno dei tanti dell’epoca) riporta alla luce le cultivar di alberi da frutto così come erano state collocate sul territorio a giardini produttivi. Tra i molteplici esemplari indicati ne citiamo uno in particolare, il Fico Bianco, collocato all’interno del compendio militare dismesso “Il Pilone”, all’interno della perimetrazione del Parco urbano etnobotanico della Salinella.
Ricordiamo che Aniello Boccarelli ha operato a servizio di più notai di Taranto; così, insieme ai rogiti notarili, sono giunte sino a noi carte geodetiche con puntigliosa precisione dei luoghi e delle indicazioni sulle essenze arboree coltivate nel terreno oggetto di compravendita o in passaggio ereditario.
Il singolare percorso storico sull’Oasi Salinella sin qui tracciato intende conferire maggiore attenzione a due punti saldi per la realizzazione del Parco; due punti strategici su cui far leva per rintracciare e allevare le piante dei giardini etnobotanici: i contributi letterari e la geo-referenziazione e geo-localizzazione vegetale custodita nella cartografia storica.
Sulla base di questi due tracciati, possiamo probabilmente riconoscere una metodologia nuova di riqualificazione di un’area che punta al recupero paesaggistico di Taranto attraverso l’aiuto dell’arte e della cultura storica, anche quella più tecnica.
Una modalità di sperimentazione, si spera, propensa a rendere tangibile la volontà espressa con gli “Accordi di Parigi”, “l’Enciclica papale” e, non per ultima, la “Variante Salinella” la quale, mediante l’opera pubblica del Parco “Laudato Sì”, conferirebbe inevitabilmente maggiore attendibilità alla DGR n°128/2011.