Restituire ad un’area geografica la sua identità originaria rappresenta una sfida: una sfida ambiziosa, autentica e, al contempo, “un debito che dobbiamo iniziare a pagare gioiosamente”, come direbbe Paolo Borsellino.
La gran parte della cittadinanza tarantina è pienamente consapevole oggigiorno della ferita inferta in passato ad un intero territorio, traghettato sul binario sbagliato, probabilmente uno fra i peggiori che il destino di una città potesse incontrare lungo il proprio cammino.
In questo viaggio così singolare iniziato in tempi non sospetti, un velo dalla coltre spessa e resistente è stato posto, sosta dopo sosta, sulla città, nascondendone il suo vero volto, il suo carattere e avvolgendo anche l’animo dei suoi abitanti, piegati di fronte ad un simile status quo.
Al di là di questa breve premessa, vi è tuttavia una particolarità che sovrasta ogni cosa e che continua, imperterrita, ad affermarsi agli occhi anche dei meno esperti che osservano Taranto, studiano Taranto: l’eclettismo.
La nostra città rappresenta una realtà unica nel suo genere per storia, cultura, civiltà e paesaggio: quattro elementi connotativi, impossibili da disgiungere l’uno dall’altro, i quali, necessitano di essere riconsegnati prima che ai visitatori provenienti dall’Italia e d’ oltralpe, ai suoi abitanti.
Da qui parte la volontà di abbracciare l’ardua sfida di dare vita al Parco urbano etnobotanico denominato “Laudato Sì”: il Parco della città di Taranto, il Parco della sua gente e di quanti vorranno visitarlo e viverlo.
Tale opera pubblica coinciderebbe con la prima vera forma di recupero riguardante l’aspetto ambientale originario di un intero territorio deturpato; un paesaggio di eccezionale valore e bellezza (secondo quanto leggiamo da alcune importanti fonti anche di tipo letterario) del tutto strappato agli occhi delle generazioni postume del “miracolo economico”.
L’area di interesse per tale progetto comprende una vasta superficie con un obiettivo primario molto chiaro: il recupero di un’identità paesaggistica perduta mediante la forestazione dei patriarchi vegetali autoctoni.
Proviamo ad entrare in questo discorso più nel dettaglio illustrando i vari passi previsti in tal senso:
A) Recupero degli arbusti delle varietà agrarie e da frutto, oltre all’essenza della macchia mediterranea con riferimento anche alle varietà specifiche del territorio in questione attraverso l’utilizzo dei semi o delle talee rilevate dalle piante autoctone già presenti. .
In merito a questo primo punto, sottolineiamo che la moltiplicazione vegetativa di alcune specie della macchia mediterranea destinate a fiorire nel Parco, si riferisce precisamente alle seguenti varietà: carrubo, olivo, corbezzolo, leccio di fragno, mandorlo, albicocco e mirto tarantino.
Questo tipo di intervento, qui sintetizzato, prevede la realizzazione di vivai presso specifiche zone individuate lungo i confini a sud dell’area che ospiterà il futuro Parco “Laudato Sì”.
Ricordiamo che i vivai rappresentano il cuore pulsante di questa nostra opera pubblica, indispensabili per l’allevamento delle cultivar da reimpiantare successivamente sull’intera superficie.
Proseguiamo in questa elencazione indicando qui di seguito il secondo, terzo e quarto obiettivo del Parco:
B) La salvaguardia e il mantenimento in produzione del rigoglioso oliveto secolare ivi presente;
C) la messa a dimora di piante di leccio destinate al Parco;
D) la salvaguardia e la protezione della “fauna autoctona”.
Per quanto concerne l’obiettivo D è interessante la presenza, all’interno di quest’area, di una stazione di riparo notturno prescelto da anni dai Falchetti Grillai: una colonia composta da ben oltre 500 esemplari.
Restando ancora per pochi istanti nella parentesi “fauna” relativa al Parco, è sorprendente dover constatare come, a dispetto della targa assegnata alla città di Taranto con su scritto “disastro ambientale”, il lembo di territorio/paesaggio a cui ci riferiamo, continua ostinatamente ad essere la “casa” prescelta da parte di salicornie, cannucce palustri, tamerici e numerose specie rare di avifauna, nonché anfibi, rettili e insetti.
Infine:
E) La definizione dei percorsi della mobilità lenta attraverso la sistemazione della pista ciclabile dell’antico tracciato della Via Del Trullo (da Via Pirro al sovrappasso della Tangenziale Sud di Taranto). Segnaliamo il valore aggiunto che la piantumazione di siepi da piantine allevate nel vivaio del Parco conferirebbe a questa indispensabile struttura fortemente al passo con i tempi.
Giunti a questo primo punto di sosta del nostro “nuovo viaggio” in cui risulta evidente un senso di marcia radicalmente opposto rispetto al passato, verrebbe da porsi alcune domande.
Il paesaggio tarantino originario denota, già attraverso le brevi indicazioni fin qui riportate, un livello rimarcabile di biodiversità.
Non a caso, infatti, l’espressione più appropriata attraverso cui si è soliti indicare la specificità ambientale di Taranto coincide con “Chora Tarantina”. Il termine “Chora” risale all’antica Grecia e veniva impiegato un tempo per designare la parte esterna e più selvatica della polis. Parlare di “Chora” oggi e, più specificatamente di “Chora Tarantina”, si intende voler concepire il paesaggio di Taranto come un vero e proprio patrimonio, corredato non soltanto dalle specie vegetali e animali che abbiamo imparato a conoscere, ma da molto, molto altro. Un’autentica miniera di bellezza, attualmente impossibile da ammirare.
Dunque, ci chiediamo:
“In che modo recuperare parte integrante delle specie vegetali di un tempo, nonché i patriarchi vegetali tarantini per ricostruire le sembianze di un angolo del paesaggio tarantino annientato?
La linea guida per una simile attività di ricostruzione esiste e proviene da preziose testimonianze di un passato lontano, un passato custodito e pervenuto sino a noi grazie al genio di alcuni artisti e al meticoloso lavoro di censimento e schedatura della cartografia storica eseguita per mano dei notai e dell’Archivio di Stato di Taranto.
A tale proposito vi invitiamo a consultare quanto indicato nella sezione “Storia” di questo portale, interamente dedicata alle fonti storico/culturali legate all’Oasi Salinella e, più in generale, al paesaggio dell’Arco Jonico di un tempo.
BIODIVERSITA’ E FITODEPURAZIONE
La volontà di recupero della biodiversità dell’Oasi Salinella, mediante la nascita del Parco etnobotanico “Laudato Sì”, trova un ulteriore punto di appoggio nel ricorso alla fitodepurazione. Questa tecnica di depurazione del terreno e delle acque grazie all’azione di alcuni tipi di piante ha già prodotto altrove risultati fortemente significativi a cui guardare con una certa attenzione ai fini del nostro obiettivo.
Ci riferiamo a quanto accaduto presso il secondo seno del Mar Piccolo dove si è piacevolmente avuto modo di constatare la ricomparsa massiva di cavallucci marini proprio a seguito di un intervento di rinaturalizzazione per fitodepurazione.
Dopo la sua comparsa, la colonia in questione continua ad essere sotto la protezione e al vaglio del WWF di Taranto, attivamente presente su questo fronte.
Partendo dunque dalle caratteristiche territoriali, proprie dell’Oasi Salinella e tenendo conto che la “Chora Tarantina” risulta contornata dall’acqua salata del Mar Jonio e dall’acqua dolce dei citri, ci chiediamo quale tipo di effetto benefico scaturirebbe dalla sperimentazione di tale tecnica anche lungo questo versante del territorio.
Se da una parte ci risulta ancora troppo pretenzioso fornire delle risposte, dall’altra tuttavia possiamo affermare con maggiore convinzione e certezza la conseguente produzione di alghe, da ottenere mediante sistemi di accelerazione della fotosintesi. Il nostro territorio potrebbe, quindi, cimentarsi nella coltivazione di micro-alghe e macro-alghe per soddisfare la necessità di approvvigionamento di cibo e d’energia e continuare così, da protagonista, la missione che nel passato ha svolto per la produzione delle ostriche e delle cozze.
Ci auguriamo che questa sintesi descrittiva sul Parco etnobotanico “Laudato Sì” possa stimolare in noi il desiderio di ritrovarsi nuovamente in quel lembo di paesaggio strappato ai nostri occhi per mettere così in atto qualunque sforzo affinché ciò avvenga.
L’Oasi Salinella rappresenterebbe, pertanto, la prima vera forma di recupero del patrimonio ambientale di Taranto o, più precisamente, della “Chora Tarantina” in tutte le sue forme ed espressioni; un segnale ad alta risonanza non soltanto per la città ma anche per la Nazione, per l’Europa e il mondo intero che si éleva a simbolo di un “cambiamento”, senz’altro possibile, anche nelle situazioni più estreme.